Considerazioni a freddo sulla free agency NFL 2025
Tiriamo le somme su quello che è stato a tutti gli effetti un mese comatoso e a suo modo deludente
Prima di dare inizio ai lamenti permettetemi di comunicarvi qualcosa relativo alla vita reale - che, purtroppo, si ostina a perdurare.
Fino a metà maggio frequenterò un corso a tempo pieno - cioè dalle nove alle diciotto - nella sempre più disillusa speranza di trovare un lavoro, perciò mi scuso in anticipo se sarò meno presente di quanto vorrei o di quanto meritereste: fortunatamente il draft cade nel weekend del 25 aprile, quindi almeno quello riuscirò a coprirlo come voglio - o meglio, come merita.
Purtroppo siamo arrivati al punto in cui uno per guadagnare 1200 euro al mese - che mai gli permetteranno di uscire di casa - deve frequentare corsi propedeutici a stage che, si spera, si trasformeranno in contratti a medio/lungo termine attraverso i quali mantenere l’automobile per andare a lavoro e, magari, in ferie una volta all’anno: mi fermo qua perché potrei scriverci un articolo sul deprimente stato del mondo del lavoro, ma non è questo il luogo e sono convinto che molti di voi abbiano alle spalle vissuti ben più tragici del mio.
Mi scuso se non potrò uscire quanto e come vorrei, ma dietro questa tastiera c’è una persona (suo malgrado) nel mondo reale che per completare l’evoluzione da ometto a adulto è costretta a provarle veramente tutte.
La mia stella polare durante l’offseason è il caro e affidabile Rotoworld - recentemente rinominato NBC Sports - che riporta zelantemente ogni singola firma nell’universo NFL. Sto scrivendo questo articolo durante le ore giovani di domenica 6 aprile e l’ultima notizia nella sezione “player news” riguarda il ritiro del leggendario Julio Jones che risale a due minuti dopo la mezzanotte del 5 aprile: in sostanza nell’ultimo giorno e passa in NFL non è accaduto assolutamente nulla.
Dietro questa inattività trovate la genesi dell’articolo che state per leggere, un articolo nel quale condividerò con voi considerazioni e impressioni su un mese deludente e oggettivamente noioso.
Chiaramente non ho potuto esimermi dall’obbligo morale di comparare questo mese di free agency a quello dello scorso anno e, più in generale, con quelli della mia giovinezza: dopo ore - dieci minuti al massimo - di sudorifere riflessioni ho deliberato che pure in questo caso la realtà è davvero percezione.
Non mi sento di dire che la free agency sia improvvisamente diventata noiosa, è solo che una decina abbondante d’anni fa non scrivevo di football americano e non ero “costretto” a ricavare almeno un argomento di conversazione a settimana. Mi limitavo a vivere la free agency per quello che era distraendomi con la pallacanestro, sport che a quei tempi era ancora accattivante.
Ci sono indubbiamente state annate più esplosive ed emozionanti, ma quando ero esclusivamente un tifoso non avevo problemi ad accettare passivamente un aprile fiacco: era quello che era e se il tempo sembrava non passare più… era quello che era.
Ora, invece, mi vedo costretto ad allungare il brodo parlandovi delle migliori o delle peggiori firme, delle squadre uscite meglio dalla free agency o riassumendo un tutt’altro che esaltante carosello dei quarterback.
Va da sé che a un certo punto uno finisca i superlativi - assoluti o relativi che siano - e si trovi davanti a un veronesissimo e mò?
Credo che se si vuole parlare di free agency nel 2025 sia obbligatorio prendere in esame l’emblematico caso di Tee Higgins, a mio avviso il miglior giocatore sul mercato che, in quanto tale, non è mai stato veramente sul mercato.
Anche i muri degli edifici in cui state leggendo questo articolo erano consapevoli del bisogno dei New England Patriots di mettere a disposizione di Drake Maye ricevitori in grado di mettere le mani sul pallone: niente da fare, prima Cincinnati lo ha nascosto in un luogo sicuro tramite franchise tag e poi, dopo settimane di negoziazione, gli ha rinnovato il contratto - insieme a quello di Ja’Marr Chase.
New England a quel punto si è trovata costretta a virare su Chris Godwin, il secondo miglior ricevitore sul mercato, ma questo ha seguito il proprio cuore rinunciando a un numero non indifferente di milioni di dollari per portare avanti la propria storia d’amore con i Tampa Bay Buccaneers, finora l’unica squadra nella quale ha militato fra i professionisti.
Senza una vera possibilità di trattare con il miglior ricevitore sul mercato e successivamente snobbata da Godwin, New England ha ripiegato su Stefon Diggs, o meglio, su un Stefon Diggs quasi 32enne reduce dal più grave infortunio della propria carriera. Anni fa ci saremmo stracciati le vesti dinanzi all’eventualità di Diggs ai Patriots, ora al massimo alziamo il sopracciglio.
Non voglio in alcun modo parlarvi di Diggs come di un giocatore finito, ma mi sono sentito obbligato a imboccare questa tangente per mettervi davanti al lapalissiano fatto che trovare sul libero mercato giocatori veramente in grado di fare la differenza stia diventando sempre più raro. Nessuna squadra è infatti disposta a rinunciare a una stella senza almeno guadagnarci qualche scelta al draft: in tal caso si pensi ai Los Angeles Rams che prima di dare il benservito a Cooper Kupp hanno passato un mese a mendicare qualsivoglia sorta di compensazione. E no, nel 2025 mi risulta difficile definire Cooper Kupp come stella.
Guardate lo specchietto qui sotto.

Se prendiamo in esame i cinque contratti più onerosi dati a free agent - non rinnovi, quindi Higgins è escluso - ci imbatteremo in un solo Pro Bowler, Sam Darnold che, per ovvi motivi, può essere legittimamente considerato come il giocatore più rischioso sul mercato dato che fino a prova contraria il 2024 può rappresentare l’eccezione, non la norma - anche se l’auspicio di Seattle è quello.
Il Pro Bowl non può essere considerato come un metro di misura chissà quanto affidabile per stabilire il valore assoluto di un giocatore, ma corrobora la dilagante sensazione che siano stati investiti milioni di dollari su giocatori che, almeno per il momento, non possono in alcun caso essere considerati stelle.
Dubito fortemente che New England con Milton Williams sia convinta di essersi assicurata il nuovo Ndamukong Suh, ma ha pagato come tale un giocatore reduce da dei playoff sensazionali nei quali ha messo a segno 2.0 sack, o se preferite il 17% abbondante degli 11.5 sack accumulati in quattro anni di regular season.
Follia? No, era semplicemente il miglior giocatore sul mercato e, aiutato dall’aureo recency bias di cui può fregiarsi solamente ogni membro della squadra che ha appena alzato il Lombardi, è stato pagato come tale.
Di nuovo, nulla contro colui che ha giocato un ruolo chiave nella cavalcata degli Eagles, ma se il contratto più pesante di una sessione di free agency è destinato a Milton Williams c’è davvero un problema.
Un’altra constatazione che mi sento obbligato a condividere con voi riguarda le guardie, pagate oggi più che mai a peso d’oro… o se preferite a peso di offensive tackle.
Sempre all’interno dello specchietto che avete visto poc’anzi noterete che due dei cinque contratti più pesanti siano stati destinati a guardie, esponenti di una posizione che fino a non troppo tempo fa era relegata in secondo piano.
Immagino che queste debbano inviare un cesto di frutta ai vari Aaron Donald e Chris Jones, gente si è guadagnata un futuro busto a Canton grazie a migliaia di Pascal di pressione interna - ho dovuto googlare l’unità di misura della pressione, diciamo che merito tutta la disoccupazione di questo mondo.
Nel 2025 è impensabile fare strada con l’interno della O-line problematico e questa scomoda realtà è stata accettata pure dal front office dei Bears che, infatti, ha investito con lodevole aggressività sul miglior centro disponibile sul mercato - Drew Dalman - e su due guardie esperte e di valore come Joe Thuney e Jonah Jackson arrivate via trade. A proposito, è lecito affermare che il miglior giocatore ad aver cambiato casacca sia stato proprio Joe Thuney che si è mosso via trade?
Le follie fatte per assicurarsi i vari Moore, Fries e Banks ci mettono davanti alla percepita ma al contempo reale crisi di offensive lineman di qualità che attanaglia da anni la NFL: di nuovo, ai giocatori di qualità difficilmente verrà permesso di intingere i piedi nella vasca della free agency.
Le incredibili stagioni di Saquon Barkley, Derrick Henry, Josh Jacobs, Aaron Jones e, perché no, pure Tony Pollard ci avevano spinti a prevedere il grande riscatto dei running back in free agency che, naturalmente, non è arrivato.
Come vi ho detto più volte, la classe di running back del 2024 deve essere vista come un unicum in quanto dubito fortemente che una simile concentrazione di giocatori di qualità avrà modo di tastare il terreno del libero mercato - i vari Hubbard e Jones sono infatti stati tolti dal mercato con repentini rinnovi contrattuali.
Volete i numeri? Nell’ultimo mesetto scarso sono stati messi sotto contratto 23 running back su cui sono stati investiti complessivamente 45 milioni di dollari, meno di due milioni per giocatore. Il contratto più oneroso è stato quello firmato da Najee Harris con i Los Angeles Chargers, un contratto annuale da cinque milioni che può schizzare fino a nove grazie a vari incentivi.
Non ideale.
Dobbiamo quindi cantare il de profundis della free agency?
No, non credo, anche se è fuori questione che quella di quest’anno sia stata particolarmente fiacca e che al di fuori dei prevedibili fuochi d’artificio scoppiati durante il periodo di legal tampering non sia accaduto nulla di particolarmente rilevante o interessante.
Tutto ciò era a suo modo prevedibile poiché anche solo scorrendo i nomi sciorinati negli articoli di preparazione si notava un numero considerevole di buoni giocatori, non di stelle in grado di ridefinire gli equilibri di una division. Chi aveva i soldi - ehm ehm, Patriots - ha giustamente speso e spanto pagando più del dovuto giocatori che… uffa, sto diventando ripetitivo.
Ciò detto, fortunatamente i mesi di marzo e aprile hanno molto più di offrirci che una semplice serie di firme qua e là: sto trovando sempre più interessante tutto ciò che precede la firma di un rinnovo contrattuale, a partire dall’odioso costume del repulisti su Instagram con cui questi annunciano il proprio mal di pancia.
Seguire con attenzione l’evoluzione dei contratti di una determinata posizione si sta affermando come una commedia all’interno della commedia capace di rendere fiero Amleto, ma non è solamente questa competizione il cui fine ultimo è guadagnare anche solo un centesimo in più del proprio rivale/amico a rendere interessante l’offseason: lo dedichiamo un paragrafino al mercato degli allenatori?
L’esempio più lampante ce lo fornisce naturalmente la AFC West, la division che ha la sfortuna - per le altre squadre coinvolte - di ospitare i Kansas City Chiefs. I loro nove trionfi consecutivi hanno costretto il resto della division a correre ai ripari e ora, a inizio aprile 2025, troviamo le panchine di Broncos, Raiders e Chargers occupate rispettivamente da Sean Payton, Pete Carroll e Jim Harbaugh, due futuri Hall of Famer e uno degli allenatori più illustri del ventunesimo secolo prolato - un saluto ai fratelli di Huddle Magazine.
È un enorme peccato che il processo di riempimento delle panchine venga completato proprio durante i playoff e non a marzo, altrimenti avremmo molti spunti narrativi in un periodo in cui, come potete vedere, il piatto piange.
La scelta di Las Vegas di rivolgersi a Pete Carroll meriterebbe una serie di articoli di studio, in quanto credo si stiano sottovalutando le implicazioni filosofiche di rivolgersi a un allenatore del genere per risollevare le sorti di una franchigia impantanata nella più avvilente mediocrità.
Mi scuso ancora per la plausibile diminuzione di frequenza delle prossime settimane, ma vi invito comunque a sorridere che fra non troppi giorni saremo travolti dal ciclone draft che ci regalerà decine su decine di articoli con i quali infesterò la vostra casella di posta elettronica.
Ci sentiamo a breve.