Proviamo a comprendere ciò che i Chiefs ci stanno facendo vedere
Perché il resto della NFL potrebbe essere seriamente nei guai
Ce lo siamo ripetuti così tante volte che a un certo punto ci siamo sentiti in dovere di crederci: questo non era l’anno dei Kansas City Chiefs.
Non sto esagerando a definire tragica la loro vittoria del terzo Super Bowl in cinque anni. O, se preferite, secondo consecutivo. È tragico che l’epilogo di quello che sarebbe dovuto essere un anno di riassestamento sia stato questo.
Più che tragico è avvilente che una squadra sia così dominante da vincere a termine di quello che, per i loro insostenibili standard, resta un anno no.
Quella delle ultime due stagioni è stata una squadra che ha indubbiamente patito l’assenza di Tyreek Hill. Eppure hanno appena completato il primo back-to-back da diciannove anni a questa parte.
Restiamo concentrati su Cheetah. Hanno provato a rimpiazzarlo in più modi.
Hanno messo le mani su free agent come Valdes-Scantling e Smith-Schuster. Hanno aggiunto via draft i vari Rashee Rice e Skyy Moore. Hanno pure imbastito una trade per Kadarius Toney.
Rice a parte, i risultati sono stati inevitabilmente deludenti. Drop nei peggiori momenti immaginabili e una costanza di rendimento mai trovata ci avevano messo in una posizione inconcepibile, quella in cui provavamo pena per Patrick Mahomes.
"Che spreco”, pensavamo.
Back-to-back. Così. Pure quando tutto sembrava volerci suggerire un paio d’anni di riassestamento, una necessaria ricostruzione-lampo che per una o due stagioni li avrebbe costretti a farsi da parte e lasciare spazio a qualcun altro.
La grande novità del 2023 coincide con l’impressionante salto di qualità del reparto difensivo, che da opportunista e coeso solo ai playoff è diventato settimanalmente dominante.
Gli innesti degli ultimi draft hanno rinvigorito un reparto perennemente trascinato dall’attacco, un reparto la cui missione per anni è stata quella di non vanificare gli sforzi di Mahomes e soci.
Negli ultimi mesi il paradigma si è ribaltato. L’attacco ha cominciato a tentennare e, in regular season, a costare sconfitte alla squadra intera.
La debacle coi Raiders sembrava aver confermato definitivamente che questo non fosse il loro anno, poi dal nulla si sono svegliati. Fatalità proprio ai playoff.
Seppur diversi dal solito, i Chiefs hanno ricominciato a muovere le catene e a mettere punti a tabellone.
Va detto che senza una difesa capace di tenere consistentemente gli avversari sotto i 20 punti molto probabilmente non starebbero festeggiando il terzo Super Bowl, ma ritrovando il vero Kelce l’intero reparto ha ritrovato pure la funzionalità necessaria per non sprecare il commovente lavoro dell’unità di Spagnuolo che, durante i playoff, ha concesso meno di 16 punti a partita.
Contro Dolphins, Bills, Ravens e 49ers. Rispettivamente la terza, la sesta, la quarta e la seconda miglior scoring offense della regular season.
Poi ci sarebbe da parlare di Mahomes, ma la discussione sta diventando insostenibilmente stupida. Ha 28 anni, è plausibile che giochi almeno per altri dieci: possiamo rimandarlo a un futuro non ben definito il simposio su quale sia il suo posto nella Mount Rushmore della NFL?
Che senso ha, vittoria dopo vittoria, perseverare nel paragonare uno con sei anni da titolare all’attivo al più grande di tutti i tempi - che di stagioni in NFL ne ha completate 23?
Possiamo limitarci ad apprezzare il semplice fatto di essere testimoni di qualcosa di storico? Vi scongiuro, non ne posso più di questi continui, gratuiti e inutili dibattiti settimanali su chi sia il più grande di tutti i tempi in un determinato sport.
È tutto così soggettivo che provare a convincere l’interlocutore della supremazia assoluta del proprio beniamino sta diventando sempre più uno sfoggio di puro narcisismo dialettico.
Mahomes è unico nel suo genere, uno che ha trasformato i superlativi in eufemismi.
Non solo non ha rivali da un punto di vista tecnico, ma cavalcata ai playoff dopo cavalcata ai playoff sta esibendo il tratto caratterizzante di ogni vera leggenda - non campione -, ossia l’ineluttabile capacità di elevarsi quando conta davvero.
Ma questo non solo lui, tutti i Kansas City Chiefs. Durante la regular season, quando una sconfitta non coincide con una condanna a morte, sono scivolati più volte proprio sul più bello: si pensi alle sconfitte - ai drop - contro Lions ed Eagles.
Ai playoff, con la stagione in bilico, nessuno ha mai problemi a portare a termine il proprio compito. Nessuna esitazione, nessun sforzo sovrannaturale, semplicemente tanta, troppa, calma.
Quando la vittoria è distante un primo down muovono le catene.
Quando necessitano veramente di un touchdown lo segnano sempre.
Per lunghi tratti del Super Bowl l’attacco dei Chiefs è stato impalpabile. Fortunatamente, come già preannunciato, quest’anno a conceder loro il lusso di prendersi qualche giro a vuoto c’ha pensato lo stoicismo di una difesa che concede pochissimo.
Dopo aver giochicciato distrattamente con la propria preda come farebbe un gatto con una lucertola tramortita, Kansas City ha affondato le stoccate decisive quando il margine d’errore è definitivamente evaporato.
Prima hanno riacciuffato la parità in extremis, poi hanno chiuso definitivamente i conti: in entrambi i casi a condurli alla terra promessa ci hanno pensato drive metodici, non gli sprint a cui ci avevano abituati ai tempi di Hill.
Una sorta di proprietà commutativa in cui pur cambiando l’ordine dei fattori il risultato finale resta sempre quello. Fa lo stesso se l’attacco per lunghi tratti di stagione sia stato schifosamente insipido, dalla loro hanno il miglior giocatore del mondo, il miglior allenatore attualmente in circolazione e una quantità impareggiabile d’esperienza che li rende immuni alla pressione.
Anche perché, a questo punto cosa devono dimostrarci?
Così non vale. L’ennesimo trionfo dei Chiefs ribadisce qualcosa che già sapevamo ma a cui abbiamo testardamente provato a non accettare, ossia che la regular season non conti assolutamente nulla.
La noia ci spinge a passare l’autunno a investire i vari Cowboys, Eagles, Dolphins, Bills, Ravens e Lions del titolo di assoluti favoriti per poi, a febbraio, trovarci puntualmente qua a venire a patti con l’ennesima impresa firmata Chiefs.
Cosa può succedere dopo che in offseason avranno aggiustato la batteria ricevitori? Quali sono i loro orizzonti qualora dovessero finalmente riuscire a individuare il successore di Tyreek Hill?
C’è chi si trastulla con ragionamenti su un futuro non troppo lontano senza Travis Kelce ma, fidatevi di me, anche senza il numero 87 continueranno a essere i soliti Kansas City Chiefs, quelli che quando conta davvero non sbagliano mai.
Potranno perdere partite, faticare a scollinare i 20 punti per un mese intero e commettere fumble in red zone, ma a questo punto si sono garantiti il beneficio del dubbio eterno: finché questo resta lo show di Mahomes e Reid non può esistere una sfida che non sia alla loro portata.
E fa lo stesso se Kelce per il pubblico mainstream è diventato un accessorio della propria fidanzata perdendo la propria individualità d’essere umano, fa lo stesso se perde la testa e a momenti sbrana il suo amato allenatore, quando conta davvero continuerà imperterrito a ricevere palloni e a muovere le catene.
Stiamo assistendo a qualcosa potenzialmente senza precedenti, instupidirlo ostinandosi a discutere su chi sia il più grande di sempre rappresenta un’imperdonabile mancanza di consapevolezza storica.
Soprattutto perché con ogni probabilità questo per Mahomes altro non è che un anello di passaggio.
Ne vedremo ancora tanti, che ci piaccia o meno. Soprattutto con una difesa del genere.
Già, ci hanno surclassati nel momento che conta, forse l'unico momento che conta e quindi non si può che render loro onore del successo e pensare a cosa potremmo fare noi per batterli.
Mi auto-consolo col solito motto degli sconfitti "Mancò la fortuna, non il valore"
Che bella analisi obiettiva, articolata, profonda e pacata. Ottimo maestro.come eccellenti tutti i commenti letti e apprezzati moltissimo.si vede che qui l’aria è decisamente più rarefatta, la competenza eccelsa.bravibravibravi tutti.