Ripensiamo al rapporto fra Tom Brady e Bill Belichick
Smontiamo definitivamente una contrapposizione che non ha mai avuto motivo d'esistere
It wasn't me. It wasn't you. It was us. ... Let me make this crystal clear: There is no coach in the world I would rather play for than Bill Belichick.
Non è noia estiva. Non è nemmeno una reazione scomposta all’insopportabile penuria d’argomenti che sta rendendo a suo modo speciale questa offseason: è un semplice o adesso o mai più.
Viviamo in un momento storico in cui il dibattito sportivo si è trasformato in una sorta di stucchevole aut aut in cui gli atleti hanno completato la metamorfosi in Pokémon: è meglio Charmender o Squirtle? Lugia od Ho-Oh? LeBron o MJ? Il classicone Maradona o Pelé s’è riprodotto e ha dato alla luce Messi o Ronaldo, apparentemente l’uovo o la gallina di ogni appassionato di calcio.
Sembra proibito celebrare e godere della grandezza del singolo in quanto tale grandezza esiste apparentemente solo per essere confrontata con quella di qualcun altro. Nessuno può sfuggire da questo tritacarne. Figuratevi che la primissima reazione al titolo - se così si può definire - dei Boston Celtics è coincisa con una grattata di capo e un «ma questa è la squadra di Jalen Brown o di Jayson Tatum?».
Nessuno è immune. Nemmeno chi gioca per la stessa squadra.
È quindi perversamente naturale che davanti all’inspiegabile grandezza dei New England Patriots, la più grande e longeva dinastia nella storia della NFL, ci si interroghi sulla paternità di vent’anni di irripetibili successi. In barba a free agency e spazio salariale.
Le uniche due grandi costanti del ventennio Patriots rispondono al nome di Tom Brady e Bill Belichick, possibilmente il più grande quarterback e il più grande allenatore nella storia della disciplina.
Che fortuna! Quali potevano essere le probabilità che le due capre - avete capito in che senso - condividessero lo stesso spogliatoio?
Ed è qui che sorge il problema.
Questi due sono semplicemente i migliori di tutti i tempi nel proprio lavoro o si tratta di un solo GOAT opportunamente cavalcato dall’altro?
Bill Belichick ha vinto tutto quello che ha vinto perché è inciampato su Tom Brady? O Tom Brady è diventato Tom Brady perché ad allenarlo c’era Belichick?
Ecco, questo è il modo più stupido per vivere lo sport e, con le dovute proporzioni, pure la vita. Che bisogno c’è di ostinarsi a cercare risposte a domande radicate nel più palese e inattaccabile soggettivismo?
Certo, per alcuni l’anello vinto da Brady coi Tampa Bay Buccaneers ha decretato un incontrovertibile verdetto: Brady ha vinto senza Belichick, quindi è chiaro che la paternità della dinastia Patriots sia da attribuire a lui.
C’è anche da dire che a cavallo fra anni ‘80 e ‘90 Belichick diede vita alla propria collezione d’anelli aggiudicandosene un paio in qualità di defensive coordinator dei New York Giants, squadra a matrice difensiva se n’è mai esistita una.
Nei playoff della stagione del 1986 New York concesse meno di otto punti a partita.
In quelli del 1990, invece, dodici tondi tondi, numero tutto sommato rispettabile se si considera che incrociarono due attacchi niente male come quelli di San Francisco e Buffalo.
Brady però ha vinto coi Tampa Bay Buccaneers, i perdenti per antonomasia, la franchigia con la più bassa percentuale di vittorie - 40.6%, uhm - nella storia della National Football League.
Come vedete è inutile. Ogni tesi contiene un’antitesi dando vita a una psichedelica matrioska di contraddizioni.
Sei pro-Belichick? Punterai il dito verso i successi coi Giants o in direzione dei due Super Bowl contro i Rams, capolavori difensivi in cui il burbero allenatore dei Patriots si mise in tasca due geni come Mike Martz e Sean McVay annullandone i potentissimi attacchi.
Sei pro-Brady? Sfodererai il trionfo - al primo tentativo - coi Buccaneers o le rimonte contro Seattle e Atlanta, due delle più improbabili imprese mai concepite su un campo da football americano.
Perché, mi chiedo, non cambiare punto di vista? Perché non sostituire l’odiosa “o” con una più matura e consapevole “e”?
Perché deve essere Brady o Belichick e non Brady e Belichick?
Perché dobbiamo ostinarci a contrapporre chi per vent’anni ha lavorato insieme rendendoci testimoni di un qualcosa senza precedenti?
Lasciatemi mettere in chiaro l’ovvio: Belichick ha commesso un gravissimo errore a bollare per finito il proprio quarterback “costringendolo” a svernare in Florida dopo un 2019 oltremodo deprimente - per gli insostenibili standard dei Patriots.
Il tempo tende a logorare e sbiadire i rapporti umani, figuriamoci quelli professionali fra due maniaci della vittoria che hanno dedicato due decenni delle rispettive esistenze alla spasmodica ricerca di una perfezione che non ha nulla a che fare con il football americano.
Ci sono stati errori e incomprensioni, com’è naturale che sia: stiamo pur sempre parlando di rapporti umani. A mio avviso, la più grande colpa di Belichick è stata quella di non aver espresso a dovere la propria gratitudine a un uomo di rara sensibilità che, come tutti noi, cercava approvazione.
I Patriots sono stati la squadra per eccellenza, la Patriots’ Way è stata costruita sulla consapevole abnegazione del proprio ego in nome del bene comune: tutti bei discorsi, ma non puoi permetterti di trattare il miglior quarterback di sempre come “uno dei tanti”. L’ethos dei New England Patriots è fondato sull’uno-vale-uno, ma non dobbiamo prenderci in giro, l’uno di Brady non vale uno - anche solo in luce della posizione che interpretava.
La caratterizzante freddezza di Belichick deve aver frustrato immensamente Brady, soprattutto dopo che negli ultimi anni è diventato icona della tediosa positività dal retrogusto di se-vuoi-puoi.
Nulla fuori dall’ordinario, comunque. Si sta pur sempre parlando di una relazione umana e resta stupefacente realizzare che quella fra due persone caratterialmente agli antipodi abbia prodotto così tanta bellezza per così tanto tempo.
Per esempio, un paio di settimane fa ho letto l’ottimo Boys Will Be Boys di Jeff Pearlman, la storia della dinastia dei Cowboys degli anni ‘90 e la convivenza fra Jimmy Johnson e Jerry Jones si è protratta solamente per un lustro. È sbalorditivo che due caratteri così agli antipodi siano riusciti non solo a convivere, ma pure a dominare per vent’anni.
Non dobbiamo in alcun caso far coincidere l’epilogo con l’intero intreccio. Un divorzio dopo vent’anni di matrimonio non implica vent’anni di infedeltà, incomprensioni e tristezza. L’unica implicazione è che i rapporti umani siano terribilmente complessi e che il tempo sappia logorare qualsiasi partnership, anche la più produttiva, storica e irripetibile.
Il tempo, però, può vantare una versatilità tutta sua in quanto oltre che a logorarli tende pure a rinsaldare i rapporti, principalmente permettendoci di rivalutare da un punto di vista più maturo e distaccato il nostro passato.
Una settimana fa i New England Patriots hanno introdotto Tom Brady nella propria Hall of Fame e, naturalmente, ci sono stati discorsi. Oltre all’ovvia gratitudine, dai discorsi di Brady e Belichick ho carpito il genuino apprezzamento reciproco fra due esseri umani che, forse, dopo vent’anni avevano cominciato a darsi per scontati.
Ciò che più mi ha colpito dei venti minuti di monologo di Belichick è stata la continua - ma mai forzata - enfasi su quanto abbia apprezzato il tempo trascorso insieme a studiare le squadre avversarie. Non trofei, non vittorie, non touchdown, ma la semplice opportunità di dedicare ore della propria esistenza a quella che per entrambi è l’unica vera ragione di vita, il football americano.
Non è per niente banale che Tom Brady durante la sua serata si sia preso il tempo per ribadire l’ovvio, ossia che tutta quell’argenteria non sia né da attribuire a lui né a Belichick, ma a loro due in quanto singola unità.
It wasn’t me, it wasn’t you… it was us.
A qualcuno potrà suonare melenso e scontato, ma reputo fondamentale ribadire che non avesse alcuna ragione per - provare a - chiudere uno dei più stucchevoli dibattiti sportivi di tutti i tempi durante la sua cerimonia.
Brady ha vinto senza Belichick, Belichick ha vinto senza Brady ma mai nessuno - finora - ha vinto tanto quanto Brady e Belichick insieme.
A volte ci ha pensato l’attacco a portare a casa la giornata. Penso per esempio al dolorosissimo Divisional Round del 2014, quando Brady malgrado un gioco di corse assolutamente inutile e una difesa inetta per tre quarti riuscì a gettare il cuore oltre l’ostacolo Ravens mandando a casa una squadra probabilmente più forte - almeno quel giorno.
A volte, invece, è stata la difesa - il reparto di competenza di Belichick - a sopperire ai rari giri a vuoto dell’attacco. Credo che chiunque ricordi - più o meno volentieri - l’ultimo urrà dei Patriots, un 13 a 3 uscito direttamente dal 1940.
Essere perennemente pronti ad attutire le cadute del proprio partner non avendo alcun dubbio che lui farà altrettanto quando sarai te a perdere l’equilibrio: non è forse questo il significato di reciprocità?
Mi rendo conto che sto parlando di Brady e Belichick come di due metà di una vera e propria coppia: malgrado in questo caso non sussista un interesse romantico, la semplice mole di tempo trascorso insieme non ha nulla da invidiare a quello condiviso da una coppia.
I New England Patriots hanno riscritto la storia del gioco grazie a una coppia, non grazie a uno piuttosto che all’altro.
Sono pienamente consapevole che non basteranno certamente delle parole al miele che, vista l’occasione, possono sembrare di circostanza a chiudere definitivamente uno dei più stupidi dibattiti sportivi attualmente in circolazione, ma se dopo questo articolo anche solo una persona getterà nel dimenticatoio la dicotomia Brady-Belichick potrò dire di aver fatto un buon lavoro.
Apprezzateli insieme, apprezzatene uno un po’ più dell’altro, ma non usate mai uno come strumento per apprezzare l’altro.
Sarebbe un peccato mortale rovinare qualcosa di così prezioso e irripetibile per piegarlo - fino a sottometterlo - alle logiche del dibattito sportivo à la Skip Bayless, logiche nelle quali deve necessariamente esistere un buono e un cattivo, un migliore o un peggiore, logiche nelle quali concetti come “collaborazione” e “sinergia” passano come vere e proprie bestemmie.
La dinastia dei New England Patriots non è stata né quella di Bill Belichick né quella di Tom Brady, ma la dinastia di Bill Belichick e Tom Brady, la più prolifica coppia allenatore-quarterback mai vista su un campo da football americano.
Senza arrivare a mancare di rispetto ai rispettivi traguardi individuali, credo sia davvero arrivato il momento di smettere di interpretare i Patriots in funzione di questa piuttosto che di quell’altra individualità, ma di celebrarli come irripetibile capolavoro di cooperazione.
Uno dei suoi pezzi più profondi, toccanti e psicologicamente concentrati, maestro.
Tra l’altro, splendido il discorso di BB con l’aneddoto campo da golf eccetera.
Mi ha anche fornito l’ottimo suggerimento di leggermi questoBoys will be Boys, una sacra scrittura che una vecchia ciabatta tifosa ma Andrea Anna forse dovrebbe avere in libreria.
Da tifoso Patriots, chiedermi “Belichick o Brady?” è come chiedermi se voglio più bene alla mamma o al papà oppure quale dei miei due figli è il mio preferito…