Qualche considerazione sull'esonero di Robert Saleh
Robert Saleh non è più l'allenatore dei New York Jets mentre i Jets, purtroppo, rimangono i Jets
Robert Saleh non è più l’allenatore dei New York Jets: se siete sorpresi probabilmente non conoscete ancora bene l’ethos dei Jets - fortunati voi - o siete inguaribili ottimisti.
Era purtroppo da mettere in preventivo che qualora le cose non fossero andate per il verso giusto qualche testa sarebbe saltata, tuttavia dare il benservito al proprio allenatore a poche ore di distanza dalla conclusione della quinta settimana di regular season è decisamente troppo Jets anche per i loro insostenibili standard.
Partiamo con l’ovvio: Robert Saleh meritava di essere licenziato… non ieri, però.
A mio avviso la sua avventura a New York si sarebbe dovuta chiudere a causa della folle gestione di Zach Wilson, quarterback gettato nella mischia troppo presto, panchinato, umiliato, panchinato un’altra volta e poi spedito a Denver in cambio di una stretta di mano e una pacca sulla spalla. In questo articolo non speculerò più di tanto sui possibili - certi - dissapori con Aaron Rodgers, non sono un insider e non ho accesso a certe informazioni, ma condividerò con voi un paio di considerazioni su quello che a mio avviso avrebbe dovuto costituire il vero motivo per il licenziamento.
Abbiamo parlato per anni dei Jets come di una squadra senza reparto offensivo, dimenticandoci troppo presto che, in teoria, tale reparto offensivo sarebbe pure stato messo a disposizione di Saleh che è stato fatto accomodare sulla panchina di New York pochi mesi prima che questi spendessero la seconda scelta assoluta per Zach Wilson, quarterback che Saleh non è neanche lontanamente riuscito a sviluppare ma, semmai, solo a svilire.
Ho come l’impressione che a volte dimentichiamo l’ordine temporale degli eventi: Wilson non l’ha affatto ereditato, sono arrivati insieme e sarebbero dovuti diventare grandi insieme.
Si è presentato alla Grande Mela come genio difensivo e leader di uomini, il prototipo di allenatore per cui un giocatore si lancerebbe di testa contro un muro, quindi c’è chi potrebbe pensare che lo sviluppo di Zach Wilson non cadesse fra le sue responsabilità: quel qualcuno sbaglierebbe.
Un allenatore può essere di matrice difensiva od offensiva - o in alcuni casi, ahimé, essersi fatto le ossa allenando gli special team -, essere specializzato nello sviluppo di pass rusher piuttosto che di cornerback o di running back, ma la gestione di quello che è il giocatore più importante della squadra rientra assolutamente fra le sue mansioni.
Non aveva alcuna ragione per mandare allo sbaraglio un quarterback ventiduenne con a disposizione una batteria di ricevitori formata da carneadi come Corey Davis, Keelan Cole, Jamison Crowder e Denzel Mims, eppure l’ha fatto e le cose sono andate il contrario di bene, ossia Jets: nel 2021 le cose sono andate Jets.
Nel 2022 sono andati a regalargli Garrett Wilson ed Elijah Moore e, principalmente grazie a un vorace reparto difensivo, New York ha aperto il campionato con un ottimo 6-3 arrivato nonostante Zach Wilson: da lì l’inizio della fine.
I Jets hanno vinto solamente una delle otto partite rimanenti condotti, fatalità, da Mike White, subentrato a Wilson dopo che questi s’era rifiutato di assumersi le proprie responsabilità davanti ai media per un’imbarazzante sconfitta contro i New England Patriots.
A quel punto l’era di Wilson era già finita - e non poteva essere altrimenti dopo un dicembre passato a scalare la depth chart prima come terzo quarterback, poi come backup, poi come titolare e, dulcis in fundo, nuovamente come terza opzione.
Nella successiva primavera i Jets hanno deciso di rivolgersi al notoriamente scontento Aaron Rodgers, arrivato a un punto di rottura insanabile con i Green Bay Packers.
Sulla carta era tutto perfetto, un quarterback esperto e presumibilmente motivato come Rodgers con alle spalle un reparto difensivo che spesso ti permette di vincere segnandone meno di venti: è forse un sogno?
No, l’ennesimo errore di una franchigia diventata sinonimo di incompetenza.
Come direbbero le mie coetanee parlando di maschi eterosessuali, le red flag c’erano e si vedevano. La totale incapacità di aiutare Wilson nel proprio sviluppo professionale e la pessima gestione di una situazione resa imbarazzante - e tossica - proprio dall’allenatore dovevano dire tutto quello che c’era da dire al front office di New York che si è naturalmente girato dall’altra parte.
Invece, come per magia, il quarterback con cui si è affacciato alla lega sotto le vesti di head coach si è trasformato in alibi: i primi due anni di Saleh sono stati un disastro per colpa di Wilson, non il contrario.
Ma perché? Perché “il suo reparto di competenza” stava rendendo bene? Scusate, ma se le cose stanno così non sarebbe meglio relegarlo al ruolo di defensive coordinator?
No, colpa di Wilson, dentro Rodgers e fuori Wilson. Più che fuori, in panchina con la speranza che sotto la psicotropa ala di Rodgers Wilson apprendesse l’arte per osmosi regalando ai Jets il franchise quarterback su cui avevano investito una scelta così importante al draft - dopo la conclusione del mandato Rodgers, ovviamente.
Il 2023 è andato com’è andato, Rodgers dopo quattro snap è stato costretto ad alzare bandiera bianca a causa della rottura del tendine d’Achille, i Jets si sono tutto d’un tratto trovati nuovamente senza un reparto offensivo e Saleh, in onore dei vecchi tempi, ha ricominciato a trastullarsi panchinando Wilson a domeniche alterne.
Se non l’avete capito, per me il fallimento di Robert Saleh a New York non sta nel più che mediocre record di 20-36 fatto registrare in tre stagioni e cinque partite o nell’inizio di campionato deludente culminato con la figuraccia di Londra: il fallimento di Saleh sta tutto nella pessima gestione di Zach Wilson il quarterback e, soprattutto, Zach Wilson l’uomo.
Se spedisci in panchina un quarterback selezionato con la seconda scelta assoluta al draft dell’anno prima perché “non si è preso le proprie responsabilità” davanti alle telecamere non sei adatto a questo lavoro: i panni sporchi si lavano in casa in situazioni del genere, fintantoché si prende le proprie responsabilità in spogliatoio davanti ai compagni va tutto bene, non deve farlo davanti alle telecamere.
Spogliatoio bello coeso quello di una squadra sull’orlo della guerra civile attacco contro difesa: tenerlo unito non era forse un’altra delle mansioni di Saleh?
Un bell’articolo di The Athletic ci parlava dei New York Jets come di una squadra dilaniata dal maccartismo più becero: al posto dei fantomatici “comunisti” a terrorizzare Saleh ci pensavano bocche larghe che fornivano dettagli ai media sulla disfunzionalità dei Jets come squadra e franchigia.
La reazione di Saleh? Chiedere a chiunque di allungargli il cellulare per evitare punizioni peggiori una volta che avrebbe scoperta l’identità delle talpe.
Quella del leak è una piaga endemica che affligge ogni forma d’intrattenimento contemporanea, ma comportarsi come il maestrino delle elementari è naturalmente inappropriato quando si è allenatori di una squadra di football americano.
Il matrimonio con Rodgers non poteva che fallire. Due personalità troppo ingombranti per coesistere nello stesso spogliatoio.
Poi, umanamente, sono molto vicino a Saleh ché immagino sia destabilizzante veder srotolare il tappeto rosso a un quarterback che ha il lusso di potersi portare il “suo” offensive coordinator - Nathaniel Hackett.
In egual misura, deve essere frustrante ricevere l’input del proprio quarterback nelle scelte tecniche, dato che invece di suggerire giocatori utili alla causa ha provato a trasformare i Jets nella succursale dei Packers portandosi dietro tutti i suoi “amici”.
Il caso più clamoroso è stato quello di Randall Cobb.
Immagino che nei prossimi giorni ne leggeremo di tutti i colori, episodi più o meno verosimili che ci metteranno davanti a disfunzionalità e totale assenza di dialogo fra due uomini (non troppo) adulti, ma non mi interessa. Le indiscrezioni degli insider altro non sono che comunicati stampa dei giocatori - o chi per loro - che per garantire a questi (dis)onesti mestieranti esclusive e scoop li usano come megafoni per manipolare l’opinione pubblica, quindi immagino che a breve leggerete del perverso hobby di Robert Saleh di annegare gattini in bacinelle di Gatorade per assicurarsi la benevolenza degli dei del football: cose del genere non mi interessano.
Stanno già trapelando indiscrezioni secondo le quali Saleh sia stato battuto sul tempo in quanto pronto a licenziare Hackett, lacchè di Rodgers: ricordate ragazzi, mai mettersi di traverso quando ci sono gli amici dell’omeopatico di mezzo.
L’importante è che non crediate a quella voce secondo la quale a costargli il posto ci abbia pensato la felpa indossata a Londra con una bandiera del Libano in bella vista sulla maglia: quella felpa la indossa da anni e fa parte dell’Heritage Program.
L’unica certezza è che ci fossero ovvi dissapori con Aaron Rodgers, ma non era sicuramente necessario ve lo dicessi io.
I Jets erano e restano una bomba a orologeria la cui deflagrazione può essere evitata solo in caso di Super Bowl: tutto il resto, per il momento, è stato messo in stand-by. È un peccato che un roster così talentuoso sia stato piegato alle logiche del win now, la situazione di New York non è in alcun modo comparabile a quella dei Rams di Stafford o dei Buccaneers di Brady. I primi erano una squadra già più che competitiva che è andata a prendersi un quarterback all’epoca trentatreenne, i secondi invece si sono assicurati il più grande di tutti i tempi, il vincente per antonomasia, l’esaltatore di talento più infallibile di cui io abbia memoria.
Rodgers è finito ai Jets per ripicca nei confronti dei Packers.
I Jets si son presi la versione lisergica di Rodgers che più che dalla vittoria è ossessionata dallo sciocco bisogno di aver sempre e comunque ragione: che si tratti di politica, vaccini o di dimostrare che i Packers abbiano commesso un errore.
Quello visto finora è un Rodgers ancora in grado di completare alcuni dei lanci più belli di cui siate mai stati testimoni, ma purtroppo per lui un Rodgers quarantenne reduce da un infortunio gravissimo: non c’è nulla di male a dimostrare i propri anni, soprattutto dopo che il tendine d’Achille ha fatto crac.
Hanno sacrificato un futuro finalmente promettente per un presente squisitamente Jets in cui, come tradizione vuole, a farla da padroni saranno sempre e comunque malumori e tossicità di vari tipi.
Mi aspetto una reazione d’orgoglio e un verosimile miglioramento nell’immediato, ma la già tortuosa strada al Super Bowl è diventata ancora più dissestata.
È già abbastanza difficile non soccombere al peso delle aspettative quando si gioca l’all-in, figuriamoci non sentire il contraccolpo psicologico a seguito del licenziamento di un allenatore dopo una partenza da 2-3 - mediocre ma nulla di mai visto.
Puoi buttarci Rodgers under center ma il risultato finale non cambia, i Jets sono e resteranno sempre i Jets e, se non altro, per una volta non ci hanno deluso: ci aspettavamo drama, abbiamo ricevuto drama e un esonero.