Considerazioni lucide (circa) su Week 12 del 2024 NFL
Oggi parleremo di squadre risuscitate e del valore dei (migliori) running back in free agency
Prima di cominciare concedetemi un paio di comunicazioni di servizio.
Essendo questa l’ultima settimana di novembre, quello che vivremo fra un paio di giorni sarà l’ultimo giovedì di novembre e se seguite il football americani da anni immagino abbiate capito dove stia per arrivare. Giovedì ci sarà tanto, tantissimo football e, siccome viviamo in un mondo in cui una festa per meritare d’essere celebrata deve essere obbligatoriamente accompagnata da spese folli, avremo football americano pure il venerdì sera per il Black Friday - immagino ci sia da ringraziare Jeff Bezos, il Babbo Natale di questa ricorrenza.
Per questa ragione la guida settimanale uscirà il giovedì mentre il venerdì mattina quasi sicuramente vi riassumerò le tre partite del giorno del ringraziamento.
In questo momento deve essere particolarmente bello chiamarsi Saquon Barkley.
Il grande rimpianto dei New York Football Giants si è regalato la partita della vita in prima serata con gli occhi di tutto il mondo puntati addosso: 26 portate per 255 yard, 4 ricezioni per 47 yard e due touchdown, una meraviglia da 70 e una da 72 yard.
È più che lecito individuare in lui il cuore pulsante dei Philadelphia Eagles, squadra che sta celebrando la settima vittoria consecutiva e il cui attacco ha ripreso a macinare yard come nei suoi giorni migliori proprio nel momento in cui l’ex running back dei Giants è stato messo al centro dei gameplan: prevedibilmente, Hurts facendo di meno sta raccogliendo di più e Philadelphia vince, sempre più spesso stravince e quasi sempre convince.
Il successo di Barkley contrapposto allo stato di salute dei New York Giants, quelli che giusto venerdì scorso hanno dato il benservito al Paperone rinnovato poco più di un anno e mezzo fa, ci sta costringendo a rivalutare uno dei grandi dogmi della NFL moderna, quello che vieta categoricamente di “pagare” un running back - dove per “pagare” si intende rinnovargli il contratto a una decina abbondante di milioni a stagione.
Durante l’ultima offseason siamo stati testimoni di una quasi anacronistica migrazione di running back di livello che, oltre a Barkley agli Eagles, ha portato Derrick Henry ai Ravens, Josh Jacobs ai Packers, Aaron Jones ai Vikings e il buon Tony Pollard ai Titans.
Ognuna di queste scelte ha finora più che pagato dividendi in quanto Henry e Barkley si stanno dando battaglia per la palma di miglior firma dell’offseason, Jacobs è diventato il cuore pulsante del reparto offensivo dei Packers, Jones ha ripristinato la rispettabilità del gioco di corse dei Vikings e Pollard è fra le pochissime note liete dei Tennessee Titans: ognuno dei giocatori appena menzionati occupa un posto nelle prime otto posizioni nella classifica riguardante le rushing yard.
Con due terzi della stagione alle spalle si può quindi definire ognuna di queste firme come clamoroso successo che deve spingere noi tutti a chiederci se non sia il caso di cambiare approccio con gli interpreti di questa posizione in free agency.
La mia risposta è no poiché non possiamo costruire regole sopra quella che è stata una classe di free agent esageratamente talentuosa: saranno pochi gli anni in cui troveremo fra i free agent tutti questi All-Pro.
Credo che investire su giovani al draft e spremerli finché sotto contratto da rookie resti ancora il miglior corso d’azione, soprattutto in luce della bassa longevità media in questa posizione del gioco. E, in ogni caso, parlare di investimenti non avrebbe poi chissà quanto senso dato che il giocatore con più milioni di dollari totalmente garantiti è Saquon Barkley con 26 in tre anni - meno di 9 all’anno: come avrebbe detto il miglior Maccio Capatonda, «sossoldi», ma spiccioli se rapportati a quelli garantiti a quarterback, ricevitori, offensive tackle e pass rusher.
La classe di free agent del 2024 rappresenta un’eccezione che vorrebbe essere in grado di invertire una regola ma che, purtroppo, non lo sarà. Va pure tenuto in considerazione che quasi tutti i giocatori sopracitati sono capitati in contesti più che ideali visto che Henry s’è trovato a condividere il backfield con Lamar Jackson, Barkley a correre finalmente alle spalle di una delle migliori linee d’attacco della lega mentre Jacobs e Jones sono finiti fra le mani di allievi di Shanahan e McVay, due allenatori che riuscirebbero a far guadagnare mille yard in una stagione pure a un tosaerba.
Fra qualche mese i free agent più prestigiosi saranno i vari James Conner (quasi trentenne), il sempre più logoro Aaron Jones, un Nick Chubb ventinovenne e reduce dall’esplosione del ginocchio, J.K. Dobbins e la sua cartella clinica e l’oggetto del mistero Najee Harris: non ci sarà quindi da dichiararsi delusi se il contratto più oneroso di cui saremo testimoni sarà un biennale da una ventina di milioni totali a Najee Harris, non ci sarà lo stesso star power dello scorso marzo.
Gli spunti narrativi sono tanti ma dobbiamo stare attenti a non farci ingolosire, la classe del 2024 va trattata come un unicum perché, alla fine dei conti, stiamo parlando proprio di quello.
In una domenica in cui è successo un po’ di tutto è quasi impossibile individuare con precisione scientifica quale sia stato l’evento maggiormente degno di nota, tuttavia l’impronosticabile quasi-vittoria dei Carolina Panthers sui Kansas City Chiefs ha dell’incredibile.
Se il 30 a 27 da una parte ci dice tanto dei Chiefs che, a parità di record, ora come ora non valgono tanto quanto i Detroit Lions, dall’altra è innegabile che il precoce esilio in panchina dopo la seconda settimana di campionato abbia fatto bene a Bryce Young che nelle ultime quattro partite ha raccolto due vittorie - contro Saints e Giants - e due onorevoli sconfitte contro Broncos e Chiefs, due squadre che finora hanno cumulativamente vinto 17 partite.
Nelle ultime tre partite Young si è preso ammirevolmente cura del pallone lanciando un solo intercetto e, malgrado abbia sfondato il muro delle 200 passing yard solamente contro i Chiefs, mi preme mettere in evidenza il fatto che il suo supporting cast consista sostanzialmente in Chubba Hubbard e una schiera di giovani ricevitori più o meno anonimi come Legette - che anonimo non è -, Coker e Sanders.
Stiamo celebrando l’ennesima sconfitta dei Panthers come se si trattasse a tutti gli effetti di una vittoria, ma Carolina spingendo al limite i (bi)campioni in carica non ha solo rischiato di scrivere una delle pagine più improbabili dell’ultimo lustro NFL, ma ci ha dimostrato di essere sempre più vicina a riacquisire la rispettabilità mai avuta durante l’era Tepper.
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