Considerazioni lucide (circa) su Week 15 del 2024 NFL
Questa è l'edizione delle considerazioni settimanali nella quale verrà dichiarata chiusa la corsa all'MVP
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Partiamo con un’ovvietà: Josh Allen sarà il prossimo MVP. Il discorso è definitivamente chiuso.
Per quanto una parte di me stia urlando e battendo i pugni nel disperato tentativo di chiedere giustizia per Lamar Jackson - il suo capolavoro da 34 touchdown a fronte di tre miseri intercetti meriterebbe molto di più -, credo di aver visto abbastanza: Josh Allen ha fatto tutto quello che doveva fare per garantirsi l’MVP.
Per prima cosa è indubbiamente più stimolante spendere il proprio voto per il primo MVP di Josh Allen che per il terzo di Lamar Jackson. Chi di sport sa scriverne per davvero parlerebbe di voter fatigue, o più concretamente l’unico motivo per cui LeBron James ha vinto “solamente” quattro MVP: a un certo punto l’elettore non ne può più di votare per la stessa persona e, bramoso di novità, è ben più disposto a regalare il proprio consenso a qualcuno di diverso, qualcuno di nuovo.
Ma Allen non sarà MVP per semplice voter fatigue, ma perché ha messo insieme la miglior stagione di una già leggendaria carriera in quello che sarebbe dovuto essere l’anno della ricostruzione.
Chiunque aveva più o meno giustamente espresso preoccupazione per gli addii di Diggs e Davis, rispettivamente primo e secondo violino dei passing game di Buffalo degli ultimi anni. Perplessità legittima se si considera che a prenderne il posto nelle gerarchie sarebbero stati un rookie come Keon Coleman e un’ex scelta al quinto round del draft come Shakir.
Per carità, a metà stagione hanno aggiunto pure Amari Cooper che però fra infortuni e scarsa conoscenza del playbook non ha sicuramente dato un contributo da All-Pro.
Quest’anno Allen ha condiviso il pallone che nemmeno in una sudata utopia socialista, si è affidato con inedita convinzione al gioco di corse e tenendo coinvolto letteralmente chiunque ha raggiunto un’efficacia incontenibile e libera dai turnover: figuratevi che in 14 partite ha lanciato solamente 5 intercetti. L’anno scorso, giusto per avere un mezzo di paragone, ne lanciò 18 in tutto il campionato.
I numeri sono allucinanti, 25 passing touchdown a cui ne vanno aggiunti 11 arrivati via terra, numeri da indiscutibile MVP se coniugati al successo di squadra.
Solamente uno striminzito gruppo di compagini può vantare record migliori, ma Mahomes non può neanche sognarsi il triplete a termine di una delle stagioni più anonime della propria carriera, Hurts non è nemmeno il miglior giocatore del proprio attacco e Goff ha appena perso lo scontro diretto. Lamar Jackson paga il relativamente osceno record di squadra.
Durante le ultime due partite Allen non solo ha dato la decisiva accelerata statistica segnando 11 touchdown totali, ma ha pure spiegato al mondo il significato della parola valuable.
È lui il motivo per cui i Buffalo Bills possono arrivare fino in fondo.
È lui il motivo per cui Buffalo ha appena fermato a 11 la striscia di vittorie consecutive dei Detroit Lions. È lui il motore della seconda miglior scoring offense della lega.
Lo scorso anno Jackson si aggiudicò la volata per l’MVP grazie a due clamorose prestazioni contro 49ers e Dolphins, quest’anno Allen ha fatto altrettanto con i due quarantelli refilati a Rams e Lions.
Negli ultimi otto quarti di gioco lo abbiamo visto consistentemente portare a termine giocate che nessun altro quarterback sarebbe in grado anche solo di sognare. Lo abbiamo visto estendere azioni fino all’inverosimile per poi connettere in profondità con ricevitori per forza di cose liberi. Lo abbiamo pure visto rimbalzare addosso a impotenti difensori che cercavano invano di fermarlo in campo aperto.
Soprattutto, ogni volta che Buffalo ha avuto bisogno di lui ha inevitabilmente risposto presente. Che si parli di un terzo down specifico o di un intero drive, ha costantemente messo i Bills nella posizione di vincere non deludendo mai nel momento del vero bisogno.
Chi invece delude inevitabilmente nei momenti più delicati è Tua Tagovailoa - e i Miami Dolphins in generale.
L’atroce sconfitta rimediata domenica per mano dei tutt’altro che esaltanti Houston Texans potrebbe aver condotto alla definitiva evaporazione le velleità di rimonta.
Che poi, parliamoci chiaro, il sogno di rimonta è stato cullato da un calendario più che favorevole in quanto quella contro i Los Angeles Rams è stata l’unica vittoria arrivata contro una squadra con un record attualmente positivo: le vittime degli altri cinque loro successi rispondono al nome di Jaguars, Patriots, Raiders, di nuovo Patriots e Jets. Gli addetti ai lavori userebbero il termine tecnico ‘squadracce’.
Nulla di nuovo, purtroppo. Durante la propria avventura ai Dolphins coach McDaniel ha vinto solamente 3 dei 18 incontri disputati contro squadre dal record vincente: statistica eloquente, lapidaria ed esauriente.
Poche righe fa vi parlavo dell’ineluttabilità di Josh Allen, quello che non si tira mai indietro nel momento del massimo bisogno, l’archetipo del vincente che si esalta quando la posta in palio è davvero alta: Tagovailoa, purtroppo, si sta dimostrando essere l’esatto contrario.
Dopo aver connesso con Jonnu Smith per il touchdown che li ha riportati sotto di un solo possesso, Tagovailoa è sparito dal campo. All’attacco dei Texans sarebbe semplicemente bastato trascinarsi in zona Fairbairn per riportarsi sopra di due possessi, ma durante gli ultimi venticinque minuti di gioco Stroud e compagni mi hanno ricordato una tartaruga a pancia in su guadagnando la miseria di due primi down.
Miami non è stata capace di approfittarne.
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