Baker Mayfield è diventato ciò che i Browns desideravano
... e di cui mai come in questo momento storico avrebbero pure disperatamente bisogno
Pensate alla vostra serie tivù preferita: avete presente gli immancabili - ma di cui fareste volentieri a meno - episodi di Halloween e Natale?
Ecco, dovete vedere questo articolo come il più classico degli episodi di Halloween, qualcosa che vi terrà sì compagnia ma alla quale esistenza è quasi impossibile trovare una giustificazione: stiamo attraversando il periodo più buio della offseason, quando non ha più senso ragionare su un draft già abbondantemente digerito e manca ancora troppo all’apertura dei training camp.
Come se poi ci fosse davvero qualcosa da dire su una serie di torridi allenamenti estivi.
In realtà era tempo che volevo parlarvi del “miracolo Mayfield” - per quanto la scelta lessicale mi faccia sentire stupido poiché si sta pur sempre parlando di un’ex prima scelta assoluta al draft.
Oramai la resurrezione di un quarterback apparentemente caduto nel baratro dell’irrilevanza è un’evenienza annuale che, in quanto tale, ci ha desensibilizzati.
Il primo fu Ryan Tannehill, seguito da Geno Smith e Baker Mayfield: lo scorso anno il testimone fu raccolto da Sam Darnold e ora chissà, vuoi mai che nel 2025 tocchi a Justin Fields?
La storia di rinascita di Baker Mayfield, però, è diversa. Per prima cosa, a differenza di Smith e Darnold, Mayfield aveva toccato il cielo con un dito trascinando (quelli che sarebbero dovuti essere) i suoi Cleveland Browns alla prima vittoria ai playoff dal remoto gennaio 1995. Figuratevi che una settimana dopo li aveva tenuti in partita fino all’ultimo contro gli stessi Kansas City Chiefs che avrebbero rappresentato la AFC al Super Bowl.
Ai tempi ci trovammo costretti a trascorrere un’intera offseason convinti che la tragicomica maglietta coi nomi di tutti i quarterback Marroni potesse essere finalmente bruciata. O anche solo messa nell’armadio.
Poi è successo l’imponderabile… fino a un certo punto. L’orgoglio e la competitività che hanno permesso a un quarterback sottodimensionato e atleticamente non impressionante di entrare in NFL dalla porta principale gli si sono ritorti contro “costringendolo” a scendere in campo malgrado una spalla oltremodo malconcia.
Il ritorno alla mediocrità dei Browns assunse i contorni di una vera e propria sentenza che costrinse il front office a riaprire la caccia a un vero franchise quarterback, possibilmente un quarterback adulto: col senno di poi queste dichiarazioni non possono che strapparci le più compassionevoli e fragorose risate.
Soprattutto in luce di ciò che sarebbe accaduto di lì a breve.
Non mi scaglierò contro la disastrosa trade con al centro Deshaun Watson poiché arrivati all’estate del 2025 tutto quello che poteva essere detto è stato (stra)detto, ma lo sciagurato scambio con i Texans in questo articolo sarà usato come artificio retorico per rendere ancora più soddisfacente la rivincita di Mayfield - che per concretizzarsi ha necessitato però di parecchio tempo.
Pochi mesi dopo l’arrivo di Watson, infatti, Mayfield è stato spedito senza troppi complimenti a Charlotte per un’anonima scelta al quinto round del draft. Giusto per rendere l’idea, i Dallas Cowboys non troppi mesi fa ne sacrificarono una al quarto round per Jonathan Mingo: chi? Esatto.
La sua avventura ai Panthers si è protratta giusto il tempo per essere relegato in panchina nella peggior squadra della lega, la pietra tombale ai giorni da titolare in NFL…
… non fosse che a volte il caos che muove i fili di questa lega sembri agire con dolo.
Stando a quanto dice chi il football lo conosce davvero, l’unica vetta più ardua da scalare di quella che porta al Lombardi è quella immediatamente successiva, quella della riconferma; il 2022 dei Los Angeles Rams può essere visto come uno dei più clamorosi tonfi del ventunesimo secolo poiché i campioni in carica non solo non furono in grado di qualificarsi ai playoff, ma nemmeno di chiudere la regular season con un record positivo.
Il loro 5-12 può essere visto come il più roboante caso di Super Bowl hangover di sempre e no, non sto prendendo la tangente per rimpolpare un articolo che non ha particolare ragione d’esistere.
A un certo punto del capitombolo, Los Angeles fu costretta a rinunciare a Matthew Stafford a causa di una miriade di infortuni fra cui un trauma cranico e un problema al collo.
Esasperato dall’alternanza fra Bryce Perkins - MVP dell’ultima stagione UFL - e John Wolford, non avendo niente da perdere McVay decise di dare un’opportunità a Baker Mayfield, messo sotto contratto un paio di giorni dopo l’ennesima delusione della stagione, il 27 a 23 patito per mano dei Seahawks che li fece precipitare sul 3-9, record senza precedenti per dei campioni in carica.
Nel seguente anonimo Thurdsay Night Football contro i Las Vegas Raiders, Mayfield fu gettato nella mischia malgrado - presumibilmente - la sua confidenza col playbook di McVay fosse ben al di sotto della sufficienza: era infatti arrivato a Los Angeles solamente due giorni prima del fischio d’inizio.
Quella fu la partita che cambiò, salvò o rimise in carreggiata, scegliete voi il verbo, la carriera di Mayfield in quanto sospinto da orgoglio e voglia di rivalsa confezionò uno dei game winning drive più impressionanti di cui io abbia memoria, un capolavoro che coprì 98 yard che prese il via a meno di due minuti dal fischio finale: l’inutile 17 a 16 con cui Los Angeles beffò Las Vegas non cambiò di una virgola l’esito di una stagione sciagurata, ma dimostrò al mondo che quella di Mayfield non era una causa persa e che, forse, avrebbe meritato un’ultima opportunità.
Che arrivò pochi mesi dopo quando i Tampa Bay Buccaneers, recentemente orfani di Tom Brady, decisero saggiamente di non regalare la maglia da titolare a Kyle Trask, selezionato al secondo round del draft del 2021 per succedere l’ultraquarantenne Brady: diedero quindi a Mayfield un anonimo contratto annuale dal valore totale di quattro milioni di dollari, un investimento intelligente per dare vita a una sorta di competizione under center al training camp.
Peccato solo che Mayfield si scrollò di dosso Trask ben prima della conclusione dell’estate vincendo senza particolari problemi la maglia da titolare e, soprattutto, l’ultima opportunità che sentiva di meritare - in una squadra un filo meno disfunzionale dei Carolina Panthers.
Il resto è storia contemporanea.
Nelle due stagioni trascorse in Florida Mayfield ha condotto i Buccaneers ad altrettanti titoli di division accumulando un record di 19-15, nulla di esaltante ma più che sufficiente nella putrida NFC South.
L’ottimo 2023, culminato nella sorprendente rullata elargita ai Philadelphia Eagles alle Wild Card, gli valse un triennale da cento milioni di dollari che sta invecchiando meglio di Jessica Alba e Keanu Reeves: al momento, per media annuale, il suo contratto si posiziona al diciannovesimo posto fra quelli dei quarterback.
Lo scorso autunno ha lanciato per 4500 yard tonde tonde e 41 touchdown e, malgrado gli esagerati 16 intercetti, ha nuovamente condotto ai playoff una squadra che a un certo punto del campionato è stata costretta a rinunciare sia a Chris Godwin che a Mike Evans.
Fra Week 8 e 10 Tampa Bay ha inanellato tre sconfitte consecutive contro Falcons, Chiefs e 49ers, tutte arrivate con un possesso di scarto e, soprattutto, con Ryan Miller, Rakim Jarrett, Trey Palmer e Sterling Shepard a dare manforte a Cade Otton, improvvisamente diventato faro del gioco aereo: nemmeno un simile alibi è bastato a domare l’animo competitivo di un giocatore che indipendentemente dal contesto darà tutto quello che ha per sessanta minuti.
Ogni maledetta domenica, no?
Occorre sottolineare nuovamente il putrido stato di una division in cui per difendere il trono dai patetici assalti delle coinquiline bastano spesso 9-al-massimo-10 vittorie, così come sono costretto a rimarcare che lanciare 16 intercetti sia oggi più che mai inaccettabile, ma nemmeno queste precisazioni riescono ad annacquare l’improbabile storia di redenzione di Baker Mayfield, diventato a tutti gli effetti franchise quarterback di una franchigia che era appena rimasta orfana del più grande di tutti i tempi.
Non sono sicuro che questa versione dei Buccaneers abbia il necessario per arrivare fino in fondo, ma come vi accenno spesso è irrealistico pensare che l’obiettivo finale di tutte e 32 le squadre che compongono questa lega sia il Lombardi: molto spesso per soddisfare un front office “basta” quel tipo di competitività che si traduce nell’annuale partecipazione ai playoff.
Due anni fa spinsero al limite gli stessi Detroit Lions che sono arrivati a trenta minuti dal Super Bowl, mentre pochi mesi fa hanno gettato alle ortiche una partita assolutamente alla loro portata contro i Washington Commanders macchiandosi di ogni sorta di (micro)errore immaginabile.
Ripeto, non credo che Tampa Bay possa essere annoverata fra le contendenti per il Lombardi, ma dopo aver visto Joe Flacco e Nick Foles alzarlo davanti agli occhi dell’attonito mondo non possiamo escludere a priori l’eventualità che possa prendere fuoco al momento più opportuno e trascinare i suoi alla terra promessa in qualità di uomo in missione per conto di Dio.
Quanto appena enunciato mi stampa un sorrisone sul viso poiché mi risulta impossibile non pensare a cosa potrebbero essere i Cleveland Browns con un quarterback del genere: immaginate se la storicamente arcigna difesa del 2023 avesse potuto contare su questa versione di Mayfield.
Chissà dove sarebbero attualmente i Browns se non avessero ipotecato il proprio futuro - e venduto l’anima al diavolo - per un quarterback che in tre anni è stato protagonista di una delle regressioni più grottesche nella storia della lega.
Mayfield non è e non sarà mai un quarterback perfetto, ma il suo mix di agonismo e leadership farebbe proprio al caso di una squadra che negli ultimi mesi ha raffazzonato una quarterback room comprendente Joe Flacco, Kenny Pickett e i due rookie Dillon Gabriel e Shedeur Sanders: insomma, una polveriera che potrebbe costare parecchi posti di lavoro.
Per quello che ci è attualmente dato sapere uno dei due rookie potrebbe spezzare la maledizione della sempre più sovraffollata maglietta affermandosi come risposta sul lungo termine, ma è fuori questione che il senno di poi abbia dato prova di un grandissimo senso dell’umorismo trasformando Mayfield nel giocatore tanto desiderato dal front office dei Browns che, per mettere le mani su un “quarterback adulto”, ne ha scaricato uno che in breve tempo è diventato indiscusso leader di uno spogliatoio debordante di veterani del calibro di Mike Evans, Chris Godwin, Tristan Wirfs, Lavonte David, Antoine Winfield Jr. e Vita Vea.
Ripeto, definire tragica la situazione in NFC South sarebbe un eufemismo, ma la rimonta ai Falcons che è valsa loro il quarto titolo divisionale consecutivo è stata oltremodo impressionante se si tengono presente i tanti infortuni che avrebbero saputo deragliare la stagione a qualsiasi squadra.
Sotto la guida di Mayfield, invece, Tampa Bay non si è scomposta e complice l’implosione dei Falcons ha risalito la china vincendo sei delle ultime sette partite: nulla di mai visto, ma proprio ciò di cui hanno disperatamente bisogno i Browns.
Come accennato a inizio articolo, questa non è stata la prima né sarà l’ultima storia di un quarterback scartato dalla franchigia con cui si è affacciato alla NFL che ha completato altrove la propria metamorfosi in franchise quarterback, ma ciò
che la rende speciale è l’irresistibile ironia suscitata dal confronto delle parabole di Mayfield e dei Browns - e, se vogliamo, di Watson: spero che questo migliaio abbondante di parole basti a convincervi che se si parla di quarterback la pazienza resta la più preziosa delle virtù.