Considerazioni lucide (circa) su Week 2 del 2024 NFL
Questa seconda settimana di NFL ha gettato nel baratro dell'inquietudine diverse fanbase
Per fortuna che c’è questo articolo. Non potete immaginare quanto sia catartico relativizzare la propria frustrazione da tifoso imponendosi un paio d’ore di lucidità alla tastiera: un po’ di razionalità spesso è tutto quello che serve per rendersi conto che non stia crollando il mondo e che in nessuna lingua un record di 0-2 coincida con una sentenza.
Come avrete intuito oggi voglio parlarvi delle prospettive di ogni squadra inchiodata sullo 0-2 e, vi avverto, non tutti gli 0-2 sono uguali.
Prima, però, vorrei parlarvi di football non parlandovi di football.
Già, questo è il paragrafetto in cui si affronterà il “discorso Tua Tagovailoa”.
Non mi interessa assolutamente niente delle prospettive dei Miami Dolphins, del suo contratto, dei suoi numeri o della comica incapacità di portarsi a casa le partite che contano davvero, il protagonista qua è Tuanigamanuolepola Tagovailoa, il ragazzo di 26 anni, il marito di Annah nonché padre di Ace e Maisey: del football americano a questo punto non mi interessa nulla.
Credo che tutti sappiate cosa sia successo, ma nel caso ve lo foste perso ecco qua un efficace riassunto: giovedì notte, contro Buffalo, Tagovailoa ha rimediato un terrificante trauma cranico, l’ennesimo di una carriera nella quale stanno purtroppo cominciando ad accumularsi.
E ora nessuno è particolarmente sereno a pensarlo ancora in campo.
Voci dell’ultima ora sembrano volerci suggerire che il giocatore non abbia alcuna intenzione di ritirarsi e, sinceramente, non ho nulla da dire.
Sarebbe bello se chiunque non avesse nulla da dire perché questa è una decisione che riguarda esclusivamente lui, la sua famiglia e il suo futuro su questo pianeta.
Qualunque sua decisione avrà il mio appoggio, anche se vi confesso che l’idea di vederlo tornare in campo mi mette parecchio a disagio. L’unica cosa che mi sento di augurargli è di fare il possibile affinché questa scelta non sia inquinata dalle emozioni del momento o dalla voglia di dimostrare al mondo di poter giocare ancora o, caso estremo, dal senso di colpa verso i Miami Dolphins che gli hanno appena rinnovato il contratto.
Tua, non devi dimostrare nulla a nessuno, qui non si sta parlando di Super Bowl o di Pro Bowl, la posta in palio è ben più alta e, se proprio devo darle un volto, le darei quello dei tuoi figli. Avranno bisogno di te per tutto il resto della vita e non credo si meritino un padre che a 45 anni non è più in grado di ricordare quale sia il giorno della settimana in cui a cena si mangia la pizza.
Pensaci bene, prenditi il tuo tempo e fai ciò che è meglio per te e per la tua famiglia, non per i Miami Dolphins, il football americano o Tua Tagovailoa il quarterback.
Off topic ma non potevo resistere: quanto è iconica la foto di McDaniel che lo bacia sulla tempia? E soprattutto, che bella persona è McDaniel?
0-2, quindi.
Naturalmente non si può che partire dai Baltimore Ravens, probabilmente la più grande delusione di questa giovane stagione.
La squadra del Maryland è reduce da due sconfitte all’ultimo respiro contro i Chiefs e i Raiders. Se perdere contro i campioni in carica è a suo modo accettabile, farsi prendere lo scalpo davanti ai propri tifosi dai Las Vegas Raiders di Gardner Minshew ci dice tutto quello che dobbiamo sapere sull’immaturità di questa squadra. A proposito, trovo molto comica questa cosa per cui Minshew continui a battere in rimonta la mia squadra del cuore dopo che passo i paragrafi a dargli del mediocre: ben mi sta.
La sconfitta di domenica non rappresenta sicuramente una novità, purtroppo: quante altre volte li abbiamo visti dilapidare un paio di possessi di vantaggio negli ultimi quindici minuti di gioco? Decisamente troppe.
Sciaguratamente uno scenario del genere non costituiva mera utopia, era risaputo che l’incognita linea d’attacco potesse costare molto cara a Baltimore e, infatti, fino a questo momento la O-line è apparsa a tratti inetta. Nella prima metà di gioco Derrick Henry ha guadagnato la bellezza di 5 yard in 7 portate: molto bene, soprattutto se si tiene presente cosa stia facendo J.K. Dobbins a Los Angeles.
Jackson è stato tenuto sotto pressione per tutta la partita dall’indemoniato Maxx Crosby, chi il pallone deve riceverlo non sembra in grado di creare separazione e, in generale, l’attacco fatica a fare quello che deve fare, sia che si tratti di concludere i drive con sette punti al posto di tre, sia che si tratti di dissanguare il cronometro.
Ma i problemi non riguardano solamente l’attacco, tutt’altro. La difesa è risultata impenetrabile per più di 40 minuti, salvo poi concedere 20 punti negli ultimi 17 giri d’orologio dimostrandosi sistematicamente incapace di mettere a segno la giocata in grado di chiudere la partita: la penalità su 3&goal sulle 16 di Baltimore che ha permesso a Las Vegas di impattare la partita sul 23 pari è semplicemente inaccettabile.
Lo special team, da decenni fiore all’occhiello di questa squadra, sta iniziando a perdere i colpi e, purtroppo, Justin Tucker sembra abbia improvvisamente smesso di essere Justin Tucker: pure domenica ha infatti sbagliato un piazzato da oltre le 50 yard. Sono finiti i tempi in cui a Baltimore bastava valicare la linea di metà campo per garantirsi almeno tre punti.
Penalità, errori, cali d’intensità nei momenti chiave e tantissima immaturità: così non si va da nessuna parte - senza contare i difetti strutturali di un roster che ha visto la linea d’attacco trasformarsi da punto di forza in anello debole di una catena che non fa poi così paura.
Hanno il talento e l’esperienza per invertire il trend, ma con Cowboys, Bills e Bengals all’orizzonte il rischio di incappare in una stagione buttata sta assumendo contorni sempre più definiti.
Malgrado il record balordo, i tifosi dei Cincinnati Bengals hanno di che esultare. Pure domenica, infatti, hanno spinto i Kansas City Chiefs al proprio limite e non fosse stato per un fischio forse un po’ troppo generoso… chissà.
Non voglio sollevare inutili polemiche sulle decisioni degli arbitri, tuttavia trovo a suo modo avvilente che sia stato un fischio a decidere l’ultimo capitolo di quella che sta diventando la più grande rivalità di questa generazione.
Contro i Chiefs i Bengals hanno giocato per lo più bene in tutte e tre le fasi del gioco. La difesa, soprattutto, ha limitato egregiamente Patrick Mahomes tenendolo a 151 passing yard e a un orribile 1 su 8 su terzo down: tutto questo generando tre turnover - fra cui due intercetti.
Insomma, sulla carta si potrebbe dire che Cincinnati abbia fatto tutto quello che doveva fare per garantirsi la prima vittoria dell’anno e lasciarsi finalmente alle spalle l’inspiegabile delusione della domenica precedente: nulla di tutto questo in quanto stiamo parlando di loro in quanto squadra sullo 0-2.
Inviterei i tifosi a non preoccuparsi più di tanto poiché, sotto la guida di Zac Taylor, Cincinnati nelle prime due settimane di regular season ha vinto solamente una delle dodici partite giocate in questi sei anni: sono abituati a partire con il freno a mano tirato e, fidatevi di me, nel momento in cui si accorgeranno di non aver abbassato del tutto la leva ricominceranno a correre come sempre.
L’indisponente estate di Ja’Marr Chase sta presentando il conto - pure domenica prova incolore da quattro ricezioni per 35 yard - anche se credo che stia pesando di più l’assenza di Tee Higgins: senza Robin le secondarie avversarie possono concentrarsi esclusivamente su Batman.
Trovo invece incoraggiante la prestazione di Joe Burrow che - strip sack a parte - ha giocato una partita pressoché immacolata contro una difesa che riesce a tirare fuori il peggio da chiunque.
Con Commanders e Panthers all’orizzonte Cincinnati non dovrebbe avere particolari problemi a raddrizzare il record, anche se vi invito a prestare attenzione dato che dicevamo qualcosa di simile pure in avvicinamento alla partita coi Patriots.
I Jacksonville Jaguars mi inquietano.
La difesa sta giocando a un livello piuttosto alto concedendo la miseria di 19 punti a domenica, il problema risiede tutto nel reparto offensivo, quello diretto dallo stesso Trevor Lawrence che non troppi mesi fa ricevette un rinnovo contrattuale da primo della classe - sì, il mercato dei quarterback è rotto e bla bla bla.
In questo momento l’attacco dei Jaguars è putrido. Delle difficoltà iniziali erano a loro modo preventivabili, stiamo pur sempre parlando di una squadra che ha appena ristrutturato il pacchetto ricevitori andando a sostituire Zay Jones e Calvin Ridley con l’inconsistente Gabe Davis e il rookie Brian Thomas - finora l’unica nota positiva di questo reparto - e che domenica è stata costretta a giocare senza Evan Engram.
Tutto quello che volete, ma segnarne 15 ad allacciata convertendo poco più del 26% dei terzi down giocati è inaccettabile. Eppure il talento offensivo a questa squadra non manca, sulla carta hanno tutto il necessario per poter perlomeno vantare un attacco efficiente ed efficace che non dovrebbe aver alcun problema a segnarne almeno 24 a partita.
E invece niente, Trevor Lawrence sta completando poco meno del 51% dei lanci tentati, un numero così incommentabile che, per l’appunto, mi rifiuterò di commentare. Il povero Etienne sta faticando a trovare varchi e la linea d’attacco non sta riuscendo a garantire a Lawrence una tasca pulita - anche se in alcuni casi è stato semplicemente impreciso. Eccezion fatta per qualche big play di Thomas, nessun ricevitore sembra aver ancora guadagnato la piena fiducia di Lawrence.
Vorrei tanto invitarvi alla calma, ma sfortunatamente ciò che ci stanno facendo vedere sembra essere il naturale sequel della deludente seconda metà di stagione quando, apparentemente dal nulla, l’attacco dei Jaguars ha smesso di funzionare.
I Colts mi mettono invece in difficoltà perché da una parte vorrei invitarvi alla calma, ma dall’altra ho captato segnali che pur provandoci non riesco a ignorare.
Se la sconfitta contro Houston mi aveva rasserenato e in un certo senso compiaciuto, quella contro i Green Bay Packers di Malik Willis mi ha sconfortato.
Per vincere contro i Colts basta sostanzialmente correre su primo, secondo e pure terzo down: più del 65% degli snap offensivi avversari hanno previsto una corsa.
Incassare 237 rushing yard a partita è inaccettabile sotto qualsivoglia punto di vista; il brillante esordio di Joe Mixon con la maglia dei Texans è stato seguito da un brusco ritorno alla realtà contro i Bears: menziono Mixon perché se è vero che due indizi fanno una prova molto probabilmente non sono i vari Mixon o Jacobs a essere fenomeni - o almeno, non sono la reincarnazione di Barry Sanders - ma il front seven della squadra di Steichen a essere patologicamente incapace di opporsi ai giochi di corsa avversari.
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